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LA TIMIDA
(LA DISCRETE)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 12 febbraio 1991
 
di Christian Vincent, con Fabrice Luchini, Judith Henry (Francia, 1990)
Un po' Faust che si lega ad un mefistofelico libraio - editore, Fabrice Luchini accetta un contratto non inedito: quello di sedurre - in cambio della promessa di vedere stampato il proprio libro - la prima venuta nel bar della piazza Saint-Sulpice. E, a seduzione avvenuta, di abbandonarla. La prima venuta: non una bellezza, piuttosto un "boudin", come dicono i francesi. Un complotto gratuito, tra il crudele ed il libertino, come in quelle Relazioni Pericolose della fine del Settecento sul quale disquisire ed anzi stendere un diario.

Che le cose non vadano come previsto, che la vittima ed il carnefice finiscano per confondersi, non è certo un mistero: gratuito non è mai nessun atto, poiché questo finisce per modificare colui che lo compie.

Ma, come nel cinema di Lubitsch, Hawks e Renoir che questo giovane esordiente nella commedia afferma di ammirare, come in quello di Eustache, di Rohmer o di Truffaut ai quali il gusto dell'eloquio (Luchini è un attore esemplare in questo senso) sembra rimandare, non è tanto ciò che succede a contare, ma piuttosto come succede. Sorprendentemente padroneggiata per essere un'opera prima, LA DISCRETE distilla in questo senso un piacere continuo: è dapprima quello dell'esilarante soliloquio di Luchini, per il quale il film sembra creato su misura. Un continuo rinvio tra la parola e l'immagine. Ma non come l'intende Rohmer, a fare del dialogo una struttura, una scansione che finisce per reggere la costruzione filmica. Piuttosto alla Truffaut: per l'affettuosa complicità che si sente legare il regista ai suoi personaggi (il lunare Luchini, in questo senso, ricorda il Léaud scapestrato di BAISERS VOLES), per la tenerezza con la quale sembra ingegnarsi a rovesciare i ruoli. A cominciare da quello dell'autore, cosi soggettivo all'inizio, vicino al protagonista, al maschio, al seduttore: e che progressivamente - sempre meno analitico, sempre più affettuoso - s'identifica all'oggetto femminile. Quella Discreta, metà donna e metà ragazzina, che Vincent costruisce in perfetto contrappunto poetico alla sfrontata filosofia dell'invadenza maschile.

Ma come in un Laclos postsessantottino, LA DISCRETE vive e si consuma del proprio gioco, al quale tutti i personaggi si sacrificano. In poche inquadrature finali di ammirevole concisione, Vincent ristabilisce quel perfetto equilibrio (tra toni umoristici e drammatici, tra vincitori e vinti di una sfida impossibile) che costituisce il grande pregio del film: svaniscono come nel nulla Faust e Mefistofele. Non rimane, nella sua tranquilla gravità, che la deliziosa Margherita.


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